Letteratura. “Darshan” il racconto completo di Marco Di Mico gratis per voi


La redazione di dovevailpaese pubblica l’intero racconto di Marco Di Mico e si scusa per il periodo di assenza.
A tutti voi auguriamo buona lettura

 

Darshan

 

Racconto

di
Marco Di Mico

 

 

 

Solo macerie.

Solo distruzione.

Solo rottami di una civiltà impazzita.

Dopo l’ultima esplosione nucleare, sul nostro pianeta, un tempo splendido giardino dell’Eden, meraviglioso Paradiso terrestre, non rimase altro che un ammasso informe di detriti. Quelle rovine erano il simbolo del decadimento in cui era caduto l’uomo. Della sua pazzia, della sua assoluta cecità. Se fossero sopravvissuti degli storici, ci avrebbero spiegato che anche questo conflitto, come tutti gli altri della violenta storia della Terra, era dipeso dai soliti motivi economici, religiosi, etnici, culturali, territoriali. Ma la vera causa di ogni guerra e soprattutto di questa, che ha spazzato via ogni cosa, ogni persona, ogni anima, è una sola: l’incapacità di vedere correttamente la realtà e le conseguenze delle nostre azioni. E quando vedi male, quando manca la nitidezza, puoi sbagliare a scegliere, puoi pensare che la violenza, la morte, la distruzione e la sofferenza siano capaci di portare il bene e la felicità. E, invece, la morte porta solo morte e la sofferenza solo sofferenza. Quello che noi chiamiamo “l’altro” e che spesso vediamo come un nemico, è solo la nostra immagine riflessa in uno specchio. Se gli facciamo del male, è a noi stessi che faremo soffrire. La guerra era stata l’errata interpretazione di ciò che sarebbe stato meglio per la propria parte. Come se ci sia una parte diversa da un’altra. Come se l‘umanità fosse divisibile.

Gli uomini si erano, praticamente, estinti. Sterminati dalla loro ottusa miopia, dalla loro arrogante cecità. Dopo la tragedia, si erano riuniti per affrontare assieme il futuro. Per tentare la costruzione di un mondo nuovo e fraterno. Ma, lentamente, quella massa malata e contaminata si ridusse sempre di più. I loro fisici erano troppo compromessi per resistere e per tornare a donare nuovamente la vita. I pochi neonati nascevano morti oppure morivano nel giro di qualche mese. Alla fine, rimasero solo Mike e Arthur. Un padre e un figlio miracolosamente sani, forti, vitali. Il padre aveva protetto il figlio da ogni pericolo. Nella prima fase, quella più violenta, quella in cui ancora si ragionava in termini di contrapposizione, aveva anche ucciso per assicurargli il necessario per vivere. Poi, i pochi rimasti capirono che dovevano cooperare e che il mondo era pieno di ogni tipo di merce. Che ammassato nei negozi e nei magazzini, c’era di che sfamare, proteggere e curare i pochi uomini ancora sulla terra all’infinito. Questa fase di pace e collaborazione coincise con la fanciullezza di Arthur. Mike, così, si era potuto dedicare completamente al figlio. Lo aveva curato, sfamato, accudito e lo aveva visto crescere armoniosamente. Di notte dormivano abbracciati e di giorno il padre cercava di insegnarli tutto quello che conosceva. Voleva trasferire nel figlio tutto se stesso e tutto quello che aveva capito con gli anni e con quella terribile esperienza. Alla sua morte, pensava, l’umanità avrebbe avuto un’altra chance, un’altra possibilità. L’intima speranza di Mike era che nel mondo ci fosse una nuova Eva. Una ragazza dai fianchi larghi e dai seni prorompenti, dai lunghi capelli scuri e dal carattere forte e solido, in grado, assieme al suo Arthur, di far proseguire il viaggio della razza umana.

Quando ebbero sepolto anche l’ultimo dei sopravvissuti non gli rimase che mettersi in viaggio. Oltre l’orizzonte nel luogo che non vedi e non conosci, puoi immaginare di trovare la speranza.

Prepararono tutto con cura. Avevano a disposizione migliaia di negozi e magazzini che, anche se già saccheggiati e semidistrutti, contenevano ancora ogni ben di Dio. Iniziarono il loro viaggio ad aprile. La bella stagione li avrebbe accompagnati e avrebbe propiziato la fortuna.

Camminavano spingendo un carrello della spesa su quale avevano poggiato un piccolo sistema stereo alimentato a batterie, che ripeteva una loro registrazione:

<<Siamo un padre e un figlio sopravvissuti>>.

<<Unitevi a noi>>.

<<Ricostruiamo insieme il mondo distrutto>>.

Ovunque andassero, i loro sguardi vagavano ansiosi, alla ricerca di qualche altro uomo. Ma sia tra i cumuli di macerie, sia lungo le interminabili e desolate strade non scorsero nessuno, e nessuno rispose al loro appello. Niente. Solo il silenzio. Solo il deserto.

Mentre camminavano, amavano ricordare quando vivevano insieme alla mamma e all’altro fratello. Rivivevano i momenti felici di quando tutti assieme trascorrevano le vacanze al mare, o quando, un Natale, erano stati a Parigi. Che bella era stata la vita. Che bello ripensare alla scuola, ai giochi con i compagni, agli sguardi delle ragazze. Eppure era tutto finito e non sarebbe più ritornato.

Arthur guardò il padre e disse:

<<Pa’, penso di essere un mostro>>.

<<Non sei così brutto, non ti vantare>> replicò subito Mike per sdrammatizzare.

<<No. Non in quel senso. Io credo di essere un mostro dentro>>.

<<Perché. Che male puoi aver fatto. Anche volendo, è impossibile. Non c’è nessuno>>.

<<E’ per quello che penso, anzi che non provo>>.

<<Spiegati meglio figliolo. Non vorrai demoralizzarti. Noi abbiamo un grande compito da portare avanti. Dobbiamo salvare l’umanità dall’estinzione. E questo compito spetta principalmente a te>>. In tutti quegli anni Mike aveva cercato di dare a suo figlio uno scopo, di farlo sentire importante e soprattutto di dargli la serenità necessaria per superare tutte le difficoltà di quella loro inutile e inspiegabile vita. Ora, questo suo improvviso cedimento lo spaventava a morte. Come molto spesso fanno i genitori, rimase in silenzio aspettando che fosse il figlio a parlare, ad aprirsi. In questo modo sarebbe riuscito a intervenire con precisione sui suoi pensieri per tentare di modificarli.

<<Mi sento in colpa perché quando penso alla mamma e a mio fratello, non riesco a provare tristezza o dolore. Credo di essere insensibile ed egoista>>.

Mike si fermò di colpo. Si girò verso il figlio e lo abbracciò forte. Arthur stava piangendo.

<<No, non fare così.  Non lo meriti. E’ normale che tu non riesca a sentire dolore per la perdita dei nostri cari. Anche per me è la stessa cosa. La nostra sofferenza e la nostra angoscia si sono perse in questa tragedia assurda che ha colpito il mondo. Il nostro dolore è solo una goccia in un oceano di dolore. Sai quanti genitori e quanti figli sono morti? Sai quanti sogni e quanti amori sono svaniti per sempre? Siamo talmente abituati alla puzza del dolore che, ormai, non la sentiamo più>>.

Poi, sempre abbracciandolo stretto, aggiunse:

<<Sei un ragazzo buono e sensibile. Vedrai che Dio non ci abbandonerà>>.

I due ripartirono fiano a fianco, come ormai facevano da tanti anni.

La primavera finì. Camminarono e sperarono anche per tutta l’estate e per buona parte dell’autunno. Poi iniziò a nevicare. Procedere nella loro disperata ricerca divenne impossibile. Il freddo intenso intirizziva i corpi e la neve rendeva troppo faticoso il cammino. Decisero che avrebbero smesso la ricerca, perlomeno per l’inverno. Il giorno dopo scorsero, sulla sommità di una collina, proprio davanti a loro, una costruzione solitaria, che dall’alto dominava tutta quella bianca vallata. Vi si indirizzarono e in un giorno di cammino la raggiunsero. Il percorso era stato faticoso. Ma lo spettacolo che gli si parò davanti al loro arrivo fu grandioso. O, almeno, così gli parve dopo tutto quel tempo passato fra macerie, detriti e rovine. L’edificio era intatto e si componeva di tre costruzioni molto antiche. Una splendida chiesa abbaziale. Un alto campanile romanico con finestre trifore. Uno splendido monastero, solido e raffinato come il castello di un re. Incredibilmente era ancora tutto in piedi. Nessun muro era crollato e, a prima vista, non c’erano stati saccheggi. Si avvicinarono alla chiesa. Una targa ricordava, ai visitatori di un tempo, che i lavori per la costruzione dell’abbazia erano iniziati per volontà dell’imperatore Carlo Magno. La facciata era abbellita da un grande rosone colorato, sotto il quale troneggiava una Madonna con Bambino nell’atto di benedire. Ai lati, come un elegante ricamo, erano stati collocati dei frammenti di sarcofagi romani. L’ingresso era un antico portale gotico, decorato con 48 formelle bronzee di forma quadrata, raffiguranti scene della Bibbia. Uno sconosciuto artista del passato aveva fissato quelle storie in maniera toccante, intima. Le aveva forgiate per i posteri, ma ormai i posteri non c’erano più. Arthur si avvicinò per guardare meglio quella meraviglia. Con la mano accarezzava quelle figure antichissime che rappresentavano delle verità, ormai, mute e inutili. Nessuno le aveva più guardate da chissà quanto tempo. Esiste la bellezza se manca chi ne può godere, chi la può ammirare? Che senso hanno l’arte e la conoscenza se non c’è nessuno in grado di apprezzarle e amarle?. Senza l’intelligente sguardo dell’uomo, che sa interpretare, capire e collegare i simboli, l’arte non ha più valore, la bellezza non ha più valore, l’armonia, la grazia e la perfezione non hanno più nessun valore. Niente ha più valore, perché è lo sguardo dell’uomo che fa vivere le cose, che dona loro importanza.

Mentre Arthur continuava la sua contemplazione, il vecchio Mike provò a spingere quell’antico portone. Lo fece così, senza pensarci, per l’abitudine di un tempo. Inaspettatamente, fra i cigolii dovuti all’inutilizzo, la porta si mosse. Con l’aiuto di suo figlio, riuscì ad aprirla quel tanto che serviva per passare. Entrarono. Anche l’interno era intatto. Solo un po’ impolverato. Tre navate con colonne recuperate da antichi edifici romani e sormontate da capitelli dorici e ionici, stavano lì immobili ad accoglierli. La navata centrale terminava con un presbiterio poligonale illuminato da finestre gotiche. Le pareti laterali erano tutte affrescate con scene della Genesi. Tutto convergeva verso un mosaico con sfondo dorato raffigurante un imponente Cristo Pantocratore. Maestoso e severo, sedeva sul trono nell’atto di benedire con le tre dita della mano destra. Il suo volto, inflessibile e intransigente, metteva in soggezione e al tempo stesso dava serenità. Il pavimento, in stile cosmatesco, aveva tarsie marmoree cromatiche di forme svariate e fantasiose che formavano delle geometrie ripetitive. Dalle finestre filtravano fasci di luce colorata che davano, a tutto l’insieme, un sapore mistico, soprannaturale. Sembrava di essere entrati in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio. Un luogo completo, che racchiudeva ogni cosa. Arthur si pose proprio al centro di quei raggi e socchiuse gli occhi. Ebbe la sensazione di aver perso la sua materialità. Di essere come un’anima che entra in Paradiso. Mike lo osservava felice. Capiva che il figlio stava provando qualcosa di bello. Qualcosa che lui non poteva dargli. Fecero tre o quattro passi su quegli antichi capolavori. Poi si fermarono e girarono su se stessi lentamente, tanto per avere una visione completa. Nel contemplare tanta bellezza, ritrovarono la loro umanità. Non erano più i mostri che avevano distrutto il mondo, ma quegli essere speciali, che avevano utilizzato l’intelligenza e la fantasia per creare la perfezione della bellezza. Compresero il grande valore che racchiudevano e piansero.  Avevano ritrovato in sé stessi l’essenza dell’uomo: quell’irrefrenabile spinta verso l’armonia, verso l’alto, verso Dio. Ebbero chiaro, il perché  è fatto a Sua immagine e somiglianza: perché anche lui sa creare. Arthur era cresciuto fra macerie e distruzione e pensava che quella fosse l’unica realtà possibile. Pensava che il degrado e la devastazione fossero la normalità. Era incredulo.

<<Ehi, pa’. Un tempo il mondo era tutto così? L’uomo costruiva queste cose? Tu ci vivevi a quel tempo?>>.

<<Si figliolo. Un tempo l’uomo amava costruire le cose belle e viverci. Il mondo era un luogo splendido, ricco di cose spettacolari. C’erano edifici ancora più straordinari di questo e per noi umani era normale vederli e viverci. Tu sei nato in quel mondo. E ci hai passato i primi anni della tua vita. Quel mondo ti appartiene. Non dimenticarlo mai. E’ dentro di te e vi rimarrà per sempre>>.  Ci fu un momento di silenzio. Poi con un filo di voce, come se stesse parlando da solo, aggiunse:<<Siamo stati dei pazzi. Ci avevano donato un luogo meraviglioso e l’abbiamo distrutto. I mostri siamo stati noi adulti>>.

Proseguirono la loro ispezione. Anche il monastero era tutto intero. Lo perlustrarono e decisero che avrebbero passato l’inverno in quella dimora incredibilmente solida e confortevole. Siccome erano abituati a dormire vicini presero due letti dalle celle dei monaci e li posero in un’ampia stanza con il camino. Così si sarebbero potuti anche riscaldare. Quella notte fecero un sonno profondo, sereno, ritemprante, come non avevano più fatto dai tempi in cui l’umanità viveva in pace.

Durante quell’inverno il monastero divenne una vera casa. Con l’aiuto di un’automobile portarono molti generi alimentari, coperte, utensili per la cucina. Arthur volle crearvi anche una biblioteca. Voleva conoscere il mondo com’era stato. Non gli bastavano più i racconti di suo padre. Aveva bisogno di vedere di che cosa fosse stato capace l’uomo. Così dalle librerie dei paesi vicino al monastero, prelevò tutti i libri di fotografie, di viaggi e di storia dell’arte che trovò. Passava intere giornate a sfogliare quelle pagine piene dei ricordi che lui non aveva. Mike, invece, non smise di sperare che qualche altro uomo fosse ancora in vita. Con un generatore a benzina teneva acceso un ricetrasmettitore da radioamatore nella speranza di captare qualche segnale, qualche comunicazione fra umani. Inoltre passava ore appiccicato ad un binocolo a scrutare l’orizzonte nella speranza di vedere qualche altro uomo. O, meglio ancora, una piccola comunità di superstiti. Se erano sopravvissuti tutto quel tempo, un motivo doveva pur esserci. Il mondo non poteva finire con loro. Non era possibile che tutto il Creato finisse in quel modo. Qualcosa sarebbe successo e il tutto avrebbe avuto un nuovo inizio. Una nuova Creazione. Forse la distruzione cui avevano assistito era stata come il diluvio universale. Una punizione esemplare per la cattiveria e la stupidità umana. Ma questo era impossibile. Dio stesso aveva promesso a Noè che non si sarebbe più vendicato: “Io stabilisco la mia alleanza con voi, non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra”. Qualunque cosa fosse successa Lui avrebbe continuato a donare solo Amore. Quella tragedia immane, quell’apocalisse era dipesa solo dall’uomo e solo l’uomo doveva porvi rimedio.

In quel luogo accogliente, l’inverno passò velocemente.  Quando fu primavera, però, non ripartirono.

<<Pà, rimaniamo qui. E’ il posto più bello dove siamo mai stati. Ti prego, rimaniamo>>.

<<Figliolo, è nostro dovere metterci in marcia e cercare degli altri uomini>>.

<<Tu hai la radio e il binocolo. Continua a ricercarli con questi strumenti. In fin dei conti abbiamo più possibilità di scorgere qualcuno da quassù che dalla strada>>.

<<Ma così ho l’impressione di essermi arreso. Di aver perso la speranza. Io devo trovare qualcuno per te. Qualcuno con cui potrai vivere quando non ci sarò più>>.

<<Te l’ho detto. Ci sono più possibilità se rimaniamo qui. E poi tu sei ancora giovane. Abbiamo tempo>>.

<<Non sono giovane. Ho sessant’anni e tu venti. Tu sei giovane, ed io devo pensare al tuo futuro. E poi lo sai che il tempo a nostra disposizione non dipende da noi>>.

<<Appunto. Dio troverà per noi la soluzione giusta sia se andiamo, sia se rimaniamo. Affidiamoci alla sua volontà>>.

Detto questo, la vittoria non poteva che essere del figlio.

Il padre cercò di limitare la sua sconfitta dicendo:

<<Ok. Facciamo come vuoi tu. Però, la prossima primavera partiamo>>.

Arthur aveva finalmente trovato un posto dove si sentiva a casa. Anche in quella situazione di eccezionale precarietà, era riuscito a crearsi un suo mondo. A coltivare i suoi interessi e ad essere indipendente dal padre. Era pur sempre un ragazzo.

Passò un anno, ne passarono due e ne passarono tre, ma non partirono. Era troppo bello rimanere nel monastero. I due ospiti lo avevano personalizzato secondo le loro esigenze. Era diventato una vera casa.

Dopo dieci anni dal loro arrivo stavano ancora lì. Mike non aveva perso la speranza di ritrovare altri uomini. Tutti i giorni, sia che nevicasse sia che ci fosse il solleone, si recava sul tetto a scrutare l’orizzonte. E la radio era sempre accesa in attesa di una voce o di un segnale intelligente. A quest’attività, aveva aggiunto la cura di un orto e di un giardino. Inoltre, aveva rimesso in funzione la fontana al centro del chiostro e passava alcune ore in quel luogo di serenità e di pace. In quei momenti, neanche si ricordava della loro condizione. Si godeva la musica dell’acqua, la bellezza dei fiori e basta.

Arthur aveva coltivato la sua passione per l’arte. Dopo dieci anni di studi su tutti i testi che aveva trovato, era diventato un vero esperto. La sua biblioteca era ricchissima, quasi monumentale. Ma a lui non bastava più. Ora era lui a voler partire per vedere dal vero qualche capolavoro. Gli uomini avevano fatto delle cose bellissime, sublimi e lui era orgoglioso di appartenere alla razza umana.

<<Papà, io vorrei che ci rimettessimo in cammino>>.

<<Come? Se mi ha costretto a rimanere qui? Ora, all’improvviso hai cambiato idea>>.

<<Papà, per me è fondamentale vedere un capolavoro dal vivo. Assorbirne la forza, la grandezza. Trarne ispirazione e auspicio. Specchiarmi in esso. Riconoscermi, come uomo, nella sua bellezza. Io avevo sempre pensato che nella nostra natura ci fossero solo distruzione e devastazione. Che noi due fossimo un’eccezione. Invece, ora ho capito che dentro ogni uomo c’era, comunque, un poco di Michelangelo, di Monet, di Giotto, di Cimabue, di Brunelleschi, di Pollock, di Mondrian. Come pure degli artisti arabi, indiani, cinesi. Voglio che la parte bella dell’umanità mi sostenga e mi spinga verso l’alto. Verso la perfezione, verso Dio. E perché ciò accada, sento che devo vedere gli originali. La visione della realtà ha una forza infinita>>.

<<E qui ce l’hai. Nella chiesa e nel monastero ci sono tante opere d’arte>>.

<<E’ vero. E devo dirti che hanno fatto molto per me. Ma ora voglio rinnovare l’entusiasmo e la forza che mi hanno dato quando le ho viste per la rima volta. Non capisci. Io ho bisogno di vedere l’originale, il vero. Mi sono documentato e so che qui vicino c’erano dei musei. Andiamoci. Magari nei loro magazzini troviamo ancora qualche quadro. Ho bisogno, veramente bisogno, di vederli dal vero>>.

<<Lo sai. Io non ti dico mai di no. Se per te è così importante, andiamo>>.

<<Grazie pà, staremo via solo qualche mese. Poi torneremo qui. Questa, ormai è la nostra casa. Organizzo tutto io. Penso che fra una settimana saremo pronti>>.

<<Va bene, va bene>>.

Arthur si mise subito al lavoro per preparare l’automobile, le provviste, il carburante, le carte geografiche e tutto quello che poteva servire.

Vedendolo, Mike sorrise. Era bello vedere suo figlio così entusiasta e motivato. Nonostante tutto aveva uno scopo e viveva con passione.

Era primavera e la natura cantava felice la sua resurrezione. Fiori e profumi ovunque. Il monastero sembrava un’isola in un oceano dai mille colori. Mike si mise, come il solito, di vedetta a caccia di qualche essere umano. Guardava distrattamente. I pensieri andavano all’imminente partenza. Improvvisamente gli parve di vedere qualcosa. Sembrava una donna piegata sulle ginocchia. Cerco di migliorare la messa a fuoco del suo binocolo. Boh. Era proprio una donna? Chiamò suo figlio. Anche lui guardò con attenzione nel binocolo. Poi disse: <<Andiamo a vedere>>. Uscirono di corsa. Ad ogni passo l’eccitazione aumentava. Nei loro animi comparve anche una punta di paura. L’ignoto spaventa sempre. Salirono in auto e partirono. Quando arrivarono, la donna era distesa a terra in posizione supina. Poteva avere dai 50 ai 60 anni. Gli occhi erano chiusi e le mani giunte sul petto. Come se qualcuno avesse iniziato a comporla per l’ultimo viaggio. Arthur rimase pietrificato. Mike si fece avanti. Tocco la donna. Era sicuramente morta. Diede un’occhiata in giro per assicurarsi che non ci fosse nessun altro. Non si sentiva tranquillo.

<<Andiamocene. Non possiamo far niente>>.

<<Pà, almeno seppelliamola>>.

<<E’ una faticaccia inutile>>.

<<Ti prego pà. Siamo uomini. Comportiamoci come tali>>.

<<Allora andiamo a prendere gli attrezzi>>.

Risalirono. Mike prese una vanga e la pistola. Al ritorno iniziarono subito a scavare. Faceva molto caldo. Arthur si fermò per asciugarsi il sudore.

<<Vuoi un sorso d’acqua?>> disse una voce femminile che proveniva da dietro un grosso oleandro pieno di fiori rosa e bianchi. La ragazza uscì. Era molto bella. Giovane e tonica, indossava un paio di jeans chiari e una maglietta gialla mezza manica che gli lasciava scoperta parte della pancia. Quando la vide, Arthur arrossì.

<<Chi sei?>> disse Mike, mentre la mano correva verso la pistola che portava infilata nei pantaloni.

<<Sono Maryam>>.

<<Chi era questa donna?>>.

<<Vivevamo insieme da tanti anni. Mi ha molto aiutato. Io non vedo benissimo e senza di lei non so se ce l’avrei fatta>>.

<<Sei cieca?>> disse Mike.

<<No. Vedo abbastanza bene se si tratta di cose distanti. Ma se sono vicine, allora è un vero casino. Saprei anche leggere, ma non ci riesco sempre, perché spesso le lettere sono troppo piccole. Voi siete veramente gentili a prendervi cura di Elisabeth>>.

<<Lo facciamo volentieri>> disse Arthur che si era ripreso.

Poi Mike aggiunse: <<E ora come farai? Senza la tua amica, per te sarà molto dura. Vuoi che ti accompagniamo da qualche parte?>>. Mike voleva capire se poteva fidarsi e se le due donne fossero sole o se facessero parte di un gruppo più vasto.

<<Non saprei. Noi vivevamo in una specie di grotta…>>:

Arthur non la fece finire e disse: <<Allora vieni a stare da noi. Abitiamo in quel monastero lì>> e col dito indicò il posto. Il padre gli lanciò un’occhiataccia severa che lo fulminò all’istante. Non era prudente rivelare subito il loro rifugio. Arthur ormai era partito: <<Vedrai che bello, sembra un castello. E poi c’è una biblioteca fantastica>>.

<<Sarebbe magnifico>> disse Mike <<ma noi fra pochi giorni dovremmo partire alla ricerca di alcuni musei>>.

<<Chi se ne frega dei musei. Dare ospitalità ad un altro essere umano è molto più importante>>.

<<Non possiamo decidere noi. È Maryam che deve farlo>>.

Dal modo in cui la ragazza si era avvicinata ad Arthur, la risposta non poteva che essere un “SI”.

<<Io sarei felicissima di iniziare una nuova vita con voi>>.

<<Allora è deciso>> disse Arthur raggiante.

I due ragazzi erano elettrizzati. Avevano avuto una fortuna pazzesca. Mike, invece, seppure la ragazza fosse proprio come l’aveva sognata, aveva una strana sensazione. Un’inquietudine che lo rendeva sospettoso.

Finita la sepoltura, coprirono il cumulo di terra con una miriade di fiori e, poi, tornarono al monastero. I due ragazzi si accomodarono dietro, mentre il padre faceva da autista.

Appena giunti, Arthur preparò una stanza per Maryam. Poi la condusse nella sua biblioteca. Qui iniziò a parlare dei suoi libri, della logica con cui erano divisi, dei periodi storici, dei grandi artisti, dell’influenza dell’arte nella vita. Insomma voleva fare bella figura.

Il viaggio venne rimandato. Arthur per il momento era troppo preso da quella ragazza per pensare ad altro. I due stavano sempre insieme. Col tempo, nacque una grande confidenza e complicità, ma non quell’intimità che il padre sperava. Mike non riusciva a capire come fosse possibile che i due non si lasciassero andare. Com’era possibile che la pulsione sessuale non prendesse il sopravvento? Come potevano non capire che la rinascita dell’umanità dipendeva da loro?

Alla fine si fece coraggio e li affrontò:

<<Scusatemi se tocco un argomento delicato, personale. Voi sapete che avete una grande responsabilità, vero?>>.

<<Certo>> disse Arthur.

<<E allora?>>.

<<Vedi pà, Maryam è una ragazza fantastica e vor…>>

<<Lascia che sia io a spiegare tutto>> lo interruppe lei. Poi aggiunse: <<Io lo so che noi siamo una specie di Adamo ed Eva, e che il futuro dell’umanità, forse, dipende da noi. E voglio anche dirvi che Arthur è un ragazzo eccezionale, forte, bello, intelligente e che io sono molto attratta da lui. Però io non posso … non posso concedermi a lui>>. Ci furono alcuni istanti di silenzio, poi la ragazza riprese: <<Perché, per farlo, io devo essere certa che dalla nostra unione germogli un’umanità migliore di quella che ci ha preceduto. Un’umanità in cui prevalga l’amore, anzi incentrata sull’amore. Per questo è importante chi io ami profondamente Arthur e che anche lui mi ami veramente. La nostra unione non deve essere una cosa meccanica, ma un legame spirituale in grado di generare dei figli migliori di noi. Veramente liberi dal male. Elisabeth mi ha preparato a questo momento. Lei mi ripeteva sempre che dovevo concepire solo quando fossi innamorata in maniera assoluta, totale e con una persona che lo fosse altrettanto di me, perché un’umanità malvagia ed egoista già c’era stata e aveva portato solo morte e distruzione. Io mi sento schiacciata da questa grande responsabilità>>.

<<Giustissimo>> disse Mike  <<tu sei innamorata di mio figlio?>>.
<<Da impazzire>>.
<<E tu Arthur la ami?>>.
<<Muoio d’amore per lei>>.
<<Quindi, dov’è il problema?>>.
<<E’ che io non posso essere sicura del suo amore>> disse la ragazza quasi scusandosi.
<<E che cosa deve fare Arthur per convincerti che ti ama in modo assoluto e totale?>>.

<<Gliel’ho ripetuto centinaia di volte che è proprio così>> disse il ragazzo.

<<Zitto>> disse Mike <<evidentemente, le parole non bastano>>.

<<Infatti>> aggiunse Maryam <<per averne la certezza, io dovrei guardarlo negli occhi. Il suo sguardo non potrebbe mentire>>.

<<E guardami, allora>>.

<<Lo sai che da vicino non ci vedo bene. Per me è impossibile conoscerti veramente>>. La ragazza stava piangendo.

<<Quindi, se tu fossi in grado di vedere bene i suoi occhi per poterlo guardare in profondità, per vedere la sua anima, non ci sarebbero problemi?>> disse Mike.

<<Non credo>> rispose la ragazza mentre si asciugava le lagrime con la mano.

A quel punto Mike scoppiò in una risata chiassosa, sonora, argentina. Ora era lui che piangeva, ma dal ridere. Afferrò i due ragazzi per le mani e corse verso l’automobile. Sempre ridendo li spinse dentro e partì sgommando come un pazzo. La macchina scivolava veloce lungo la strada che scendeva dal monastero verso la valle. Le buche e i rami la facevano sobbalzare in continuazione. Mentre guidava, Mike rideva e batteva le mani sul volante. In pochi minuti furono davanti ai ruderi di un immenso centro commerciale. Entrarono. Le grandi finestre lasciavano passare molta luce. Mike, camminando velocemente, precedeva i due ragazzi e dettava l’andatura. Girava per i corridoi come un forsennato. Finalmente si fermò. Entrò in un negozio semidistrutto e cominciò a frugare nei cassetti. Gettava tutto in aria. Afferrò alcuni occhiali da presbite e li porse a Maryam: <<Indossali>>.

La ragazza non li aveva mai visti, ma capì istintivamente come si facesse. <<Ora guarda Arthur>>. Lei si girò. Con gli occhiali era anche più bella. I due si guardarono negli occhi. Lei si avvicinò ad Arthur e lo baciò. La connessione tra le anime era stabilita. L’umanità avrebbe avuto una seconda possibilità.

“La vicenda di un lavoratore bastardo”, l’imperdibile romanzo di Marco Di Mico

versione cartacea

http://www.inmondadori.it/vicenda-lavoratore-bastardo-Marco-Di-Mico/eai978886693036/

versione elettronica

http://www.bookrepublic.it/book/9788866935247-la-vicenda-di-un-lavoratore-bastardo/

 Copertina libro