Letteratura gratis. “Darshan”, seconda puntata


logo_300

Mentre camminavano, amavano ricordare quando vivevano insieme alla mamma e all’altro fratello. Rivivevano i momenti felici di quando tutti assieme trascorrevano le vacanze al mare, o quando, un Natale, erano stati a Parigi. Che bella era stata la vita. Che bello ripensare alla scuola, ai giochi con i compagni, agli sguardi delle ragazze. Eppure era tutto finito e non sarebbe più ritornato.

Arthur guardò il padre e disse:

<<Pa’, penso di essere un mostro>>.

<<Non sei così brutto, non ti vantare>> replicò subito Mike per sdrammatizzare.

<<No. Non in quel senso. Io credo di essere un mostro dentro>>.

<<Perché. Che male puoi aver fatto. Anche volendo, è impossibile. Non c’è nessuno>>.

<<E’ per quello che penso, anzi che non provo>>.

<<Spiegati meglio figliolo. Non vorrai demoralizzarti. Noi abbiamo un grande compito da portare avanti. Dobbiamo salvare l’umanità dall’estinzione. E questo compito spetta principalmente a te>>. In tutti quegli anni Mike aveva cercato di dare a suo figlio uno scopo, di farlo sentire importante e soprattutto di dargli la serenità necessaria per superare tutte le difficoltà di quella loro inutile e inspiegabile vita. Ora, questo suo improvviso cedimento lo spaventava a morte. Come molto spesso fanno i genitori, rimase in silenzio aspettando che fosse il figlio a parlare, ad aprirsi. In questo modo sarebbe riuscito a intervenire con precisione sui suoi pensieri per tentare di modificarli.

<<Mi sento in colpa perché quando penso alla mamma e a mio fratello, non riesco a provare tristezza o dolore. Credo di essere insensibile ed egoista>>.

Mike si fermò di colpo. Si girò verso il figlio e lo abbracciò forte. Arthur stava piangendo.

<<No, non fare così.  Non lo meriti. E’ normale che tu non riesca a sentire dolore per la perdita dei nostri cari. Anche per me è la stessa cosa. La nostra sofferenza e la nostra angoscia si sono perse in questa tragedia assurda che ha colpito il mondo. Il nostro dolore è solo una goccia in un oceano di dolore. Sai quanti genitori e quanti figli sono morti? Sai quanti sogni e quanti amori sono svaniti per sempre? Siamo talmente abituati alla puzza del dolore che, ormai, non la sentiamo più>>.

Poi, sempre abbracciandolo stretto, aggiunse:

<<Sei un ragazzo buono e sensibile. Vedrai che Dio non ci abbandonerà>>.

I due ripartirono fiano a fianco, come ormai facevano da tanti anni.

La primavera finì. Camminarono e sperarono anche per tutta l’estate e per buona parte dell’autunno. Poi iniziò a nevicare. Procedere nella loro disperata ricerca divenne impossibile. Il freddo intenso intirizziva i corpi e la neve rendeva troppo faticoso il cammino. Decisero che avrebbero smesso la ricerca, perlomeno per l’inverno. Il giorno dopo scorsero, sulla sommità di una collina, proprio davanti a loro, una costruzione solitaria, che dall’alto dominava tutta quella bianca vallata. Vi si indirizzarono e in un giorno di cammino la raggiunsero. Il percorso era stato faticoso. Ma lo spettacolo che gli si parò davanti al loro arrivo fu grandioso. O, almeno, così gli parve dopo tutto quel tempo passato fra macerie, detriti e rovine. L’edificio era intatto e si componeva di tre costruzioni molto antiche. Una splendida chiesa abbaziale. Un alto campanile romanico con finestre trifore. Uno splendido monastero, solido e raffinato come il castello di un re. Incredibilmente era ancora tutto in piedi. Nessun muro era crollato e, a prima vista, non c’erano stati saccheggi. Si avvicinarono alla chiesa. Una targa ricordava, ai visitatori di un tempo, che i lavori per la costruzione dell’abbazia erano iniziati per volontà dell’imperatore Carlo Magno. La facciata era abbellita da un grande rosone colorato, sotto il quale troneggiava una Madonna con Bambino nell’atto di benedire. Ai lati, come un elegante ricamo, erano stati collocati dei frammenti di sarcofagi romani. L’ingresso era un antico portale gotico, decorato con 48 formelle bronzee di forma quadrata, raffiguranti scene della Bibbia. Uno sconosciuto artista del passato aveva fissato quelle storie in maniera toccante, intima. Le aveva forgiate per i posteri, ma ormai i posteri non c’erano più. Arthur si avvicinò per guardare meglio quella meraviglia. Con la mano accarezzava quelle figure antichissime che rappresentavano delle verità, ormai, mute e inutili. Nessuno le aveva più guardate da chissà quanto tempo. Esiste la bellezza se manca chi ne può godere, chi la può ammirare? Che senso hanno l’arte e la conoscenza se non c’è nessuno in grado di apprezzarle e amarle?. Senza l’intelligente sguardo dell’uomo, che sa interpretare, capire e collegare i simboli, l’arte non ha più valore, la bellezza non ha più valore, l’armonia, la grazia e la perfezione non hanno più nessun valore. Niente ha più valore, perché è lo sguardo dell’uomo che fa vivere le cose, che dona loro importanza.

Mentre Arthur continuava la sua contemplazione, il vecchio Mike provò a spingere quell’antico portone. Lo fece così, senza pensarci, per l’abitudine di un tempo. Inaspettatamente, fra i cigolii dovuti all’inutilizzo, la porta si mosse. Con l’aiuto di suo figlio, riuscì ad aprirla quel tanto che serviva per passare. Entrarono. Anche l’interno era intatto. Solo un po’ impolverato. Tre navate con colonne recuperate da antichi edifici romani e sormontate da capitelli dorici e ionici, stavano lì immobili ad accoglierli. La navata centrale terminava con un presbiterio poligonale illuminato da finestre gotiche. Le pareti laterali erano tutte affrescate con scene della Genesi. Tutto convergeva verso un mosaico con sfondo dorato raffigurante un imponente Cristo Pantocratore. Maestoso e severo, sedeva sul trono nell’atto di benedire con le tre dita della mano destra. Il suo volto, inflessibile e intransigente, metteva in soggezione e al tempo stesso dava serenità. Il pavimento, in stile cosmatesco, aveva tarsie marmoree cromatiche di forme svariate e fantasiose che formavano delle geometrie ripetitive. Dalle finestre filtravano fasci di luce colorata che davano, a tutto l’insieme, un sapore mistico, soprannaturale. Sembrava di essere entrati in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio. Un luogo completo, che racchiudeva ogni cosa. Arthur si pose proprio al centro di quei raggi e socchiuse gli occhi. Ebbe la sensazione di aver perso la sua materialità. Di essere come un’anima che entra in Paradiso. Mike lo osservava felice. Capiva che il figlio stava provando qualcosa di bello. Qualcosa che lui non poteva dargli. Fecero tre o quattro passi su quegli antichi capolavori. Poi si fermarono e girarono su se stessi lentamente, tanto per avere una visione completa. Nel contemplare tanta bellezza, ritrovarono la loro umanità. Non erano più i mostri che avevano distrutto il mondo, ma quegli essere speciali, che avevano utilizzato l’intelligenza e la fantasia per creare la perfezione della bellezza. Compresero il grande valore che racchiudevano e piansero.  Avevano ritrovato in sé stessi l’essenza dell’uomo: quell’irrefrenabile spinta verso l’armonia, verso l’alto, verso Dio. Ebbero chiaro, il perché  è fatto a Sua immagine e somiglianza: perché anche lui sa creare. Arthur era cresciuto fra macerie e distruzione e pensava che quella fosse l’unica realtà possibile. Pensava che il degrado e la devastazione fossero la normalità. Era incredulo.

<<Ehi, pa’. Un tempo il mondo era tutto così? L’uomo costruiva queste cose? Tu ci vivevi a quel tempo?>>.

<<Si figliolo. Un tempo l’uomo amava costruire le cose belle e viverci. Il mondo era un luogo splendido, ricco di cose spettacolari. C’erano edifici ancora più straordinari di questo e per noi umani era normale vederli e viverci. Tu sei nato in quel mondo. E ci hai passato i primi anni della tua vita. Quel mondo ti appartiene. Non dimenticarlo mai. E’ dentro di te e vi rimarrà per sempre>>.  Ci fu un momento di silenzio. Poi con un filo di voce, come se stesse parlando da solo, aggiunse:<<Siamo stati dei pazzi. Ci avevano donato un luogo meraviglioso e l’abbiamo distrutto. I mostri siamo stati noi adulti>>.

Proseguirono la loro ispezione. Anche il monastero era tutto intero. Lo perlustrarono e decisero che avrebbero passato l’inverno in quella dimora incredibilmente solida e confortevole. Siccome erano abituati a dormire vicini presero due letti dalle celle dei monaci e li posero in un’ampia stanza con il camino. Così si sarebbero potuti anche riscaldare. Quella notte fecero un sonno profondo, sereno, ritemprante, come non avevano più fatto dai tempi in cui l’umanità viveva in pace.

A conclusione dell’articolo ci piace citare un libro che riteniamo imperdibile:  Copertina libro
“La vicenda di un lavoratore… bastardo”

Versione elettronica:
http://www.ibs.it/ebook/Di-Mico-Marco/La-vicenda-di/9788866935247.html

Versione cartacea:

http://www.inmondadori.it/vicenda-lavoratore-bastardo-Marco-Di-Mico/eai978886693036/